Darsena Europa: coniugare sviluppo economico e sostenibilità ambientale
“Azione rilancia le proposte del Prof. Giovanni Vallini responsabile Ambiente e Sviluppo Sostenibile – Azione Pisa.”
L’Italia, in circa 50 anni, ha perso dai 35 ai 40 milioni di metri quadri di coste, spiagge e arenili. Una perdita naturalistica che si traduce anche in un danno economico al sistema Paese che si aggira sui 45 miliardi di euro. Le correnti e le onde, infatti, si stanno portando via diversi metri di costa e allo stesso tempo molte opportunità imprenditoriali. Seppur le amministrazioni locali, in questi decenni, abbiano provato ad arginare il problema con interventi di contrasto all’erosione e di ripascimento degli arenili, spesso assai onerosi [ogni anno la pubblica amministrazione interviene con 100 milioni di Euro in opere di contrasto all’erosione costiera!], in diverse occasioni tuttavia questi si sono rivelati addirittura controproducenti. L’erosione è dovuta non tanto al moto ondoso ma principalmente alle correnti litoranee, sulle quali spesso non si agisce. Nello specifico le correnti, distorte da difese rigide e strutture a mare fisse istallate per proteggere le spiagge, finiscono per peggiorare la situazione. Ma un’altra importante causa dell’erosione è da ricercare nei fiumi che non trascinano più sedimenti al mare. Così, senza sedimenti, la spiaggia non riesce a riprodursi. Cementificazione, opere di sbarramento lungo il percorso fluviale e abbandono del suolo agricolo limitano i depositi sedimentari. Mentre tutto questo impedisce alle spiagge di ricevere materiale di reintegro, d’altra parte il moto ondoso e delle correnti continua ad eroderle senza che possano rigenerarsi. A questo punto, è facile immaginarsi quale potrà essere la situazione quando, a metà di questo secolo, il mare si alzerà di mezzo metro per effetto del cambiamento climatico.
In questo contesto, la linea di costa pisana – da Calambrone passando per Tirrenia e Marina di Pisa fino alle spiagge del Gombo, prospicenti il Parco di San Rossore a nord della foce dell’Arno – mostra anch’essa una lunga storia di erosione, iniziata già fin dall’inizio dell’ 800. Tale fascia costiera si caratterizza storicamente per la presenza di sistemi dunali residuali. Le dune costiere rappresentano un habitat di grande valenza ambientale e paesaggistica. Esse costituiscono inoltre una difesa costiera naturale in quanto fungono sia da riserva di sabbia che da barriera fisica a protezione delle fasce territoriali retrostanti. Questo tema risulta particolarmente attuale e cogente per via dei significativi processi di antropizzazione avvenuti a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Tali processi hanno di fatto distrutto in tutto o in parte i sistemi dunali alterando le condizioni di equilibrio costiero, contribuendo così ad innescare l’erosione della linea di costa.
Ora, con l’entrata in vigore dell’applicazione della Direttiva Bolkestein alle concessioni balneari demaniali a far data dal 1° gennaio 2024, da parte degli operatori nostrani che per decenni hanno goduto di una lucrosa posizione di privilegio si grida al pericolo costituito dal
fatto che non ci sarebbe partita tra le disponibilità di grandi società – soprattutto multinazionali – e quelle della nostra micro-imprenditoria. Si afferma con apprensione che correremmo perciò il rischio di trovarci di fronte anche ad acquisti plurimi che potrebbero limitare grandemente il godimento di un bene comune da parte dei cittadini, fin qui presidiato da imprese familiari. Purtroppo, come al solito, ogni volta che un asset nazionale imbocca la via del mercato globale, si levano lamenti strazianti nei confronti della libera concorrenza che tutti sostengono a parole ma che nessuno sembra in realtà volere. Ma proprio perché a difesa della sopravvivenza delle nostre spiagge occorrerebbe un progetto strutturale di ampio respiro prima di varcare la soglia del non ritorno, nelle nuove convenzioni tra demanio e imprenditori balneari dovrebbe prevedersi la partecipazione di quest’ultimi – proprio grazie all’afflusso di cospicui capitali d’impresa – agli investimenti a protezione degli arenili, evitando in questo modo – come in passato è avvenuto in molti casi – lo sfruttamento di un bene pubblico senza che di questo se ne curi la manutenzione in corso d’uso. Di fatto, già il vecchio atto formale pluriennale per l’affidamento dei sedimi demaniali in concessione previsto dal Codice della Navigazione prevedeva un regime premiante per quei concessionari che avessero realizzato sul bene concesso in uso infrastrutture pertinenti, con un ammortamento della spesa in tempi di ritorno superiori a quelli di un’ordinaria concessione.
Fuori dalla logica di radicale preservazione ideologica dell’ambiente, ma tuttavia ben attenti ai fenomeni di aggressione predatoria da parte di interessi talvolta senza scrupoli, si tratta qui di definire un nuovo paradigma: la risorsa ambientale come infrastruttura naturale dello spazio antropico, comprensivo questo del relativo godimento in maniera per così dire correttamente attrezzata. In tal modo, oltre alla tutela dei diritti dei concessionari degna di attenta considerazione, una nuova concezione dovrà farsi strada passando dal mero sfruttamento di ciò che gli operatori ottengono in affidamento, alla tutela ed alla valorizzazione di ciò che riconsegneranno rivalutato, traendone comunque la giusta remunerazione.
Anche negli ambienti protetti, l’approntamento di infrastrutture insieme agli attori di questi inserimenti dovrebbe rappresentare la corretta declinazione che il “nuovo” assume nella nostra esperienza quotidiana e – come tale – percepita dalle nuove generazioni come strumento di preservazione funzionale di un patrimonio comune da tramandare. Mentre nei principali Paesi ad economia avanzata le grandi stagioni culturali sono state segnate – in relazione alla tutela del patrimonio ambientale – da scelte progettuali coraggiose ma non invasive, in Italia il sistema dei vincoli si è invece rivelato sufficientemente rigido da bloccare i giusti interventi, ma – in molte situazioni – non abbastanza efficace da fermare il degrado. E’ quanto appare evidente anche sul nostro litorale dove una stagione di pianificazione interrotta rispetto alle grandi scelte del passato si traduce oggi in un egoistico sfruttamento miope del patrimonio demaniale, fatto di interventi estemporanei e casuali, privi di sistemica visione progettuale, laddove intrapresi oltre la mera annuale tinteggiatura di infrastrutture spesso sdrucite.
Il richiamo sin qui delineato appare vie più perentorio per il litorale pisano e, in continuazione a nord, per la linea di costa della Versilia, se guardiamo ai possibili effetti legati – oltre ai fattori negativi pregressi storicamente determinatisi in questi luoghi – alla realizzazione
dell’imponente infrastruttura portuale di Livorno rappresentata dalla Darsena Europa. Alla fine, potremmo accorgerci che una Bolkestein applicata attraverso una contrattazione equilibrata di concessioni ed obblighi “rischierebbe” davvero di mutarsi da spauracchio a insperata grande opportunità in termini di salvaguardia ambientale e sostenibilità.